Genitorialità e gender gap in Italia: un nodo cruciale e il ruolo della certificazione di parità di genere
- IDEM - Mind the Gap
- 11 giu
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Da quasi vent’anni, l’Italia attraversa una fase di profonda trasformazione demografica, caratterizzata da un costante calo della natalità e da un progressivo invecchiamento della popolazione. Secondo i dati ISTAT più recenti, nel 2024 si è raggiunto un nuovo minimo storico: appena 370.000 nascite, con un calo del 2,6% rispetto alle 379.000 registrate nel 2023. Il tasso di natalità è sceso a 6,3 nati ogni 1.000 abitanti, in ulteriore contrazione rispetto al 6,4 dell’anno precedente.
Il confronto con il 2008, ultimo anno in cui si è registrato un aumento delle nascite, è particolarmente significativo: il numero dei nuovi nati è diminuito di oltre 200.000 unità, una riduzione del 35,8% in 16 anni.
L’età media delle madri al momento del parto è salita a 32,7 anni e il tasso di fecondità totale si attesta a 1,20 figli per donna, confermandosi tra i più bassi d’Europa, molto vicino al minimo storico in Italia del 1995 (1,19). A questo si aggiunge un fattore strutturale: la progressiva riduzione della popolazione femminile in età feconda (15–49 anni), fascia nella quale il numero di donne continua a diminuire. Anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità, che fino al 2008 aveva temporaneamente sostenuto le nascite, si è ridotto. Le famiglie di origine straniera tendono oggi ad avere meno figli e a età più avanzate, seguendo un modello convergente a quello della popolazione italiana.
Il fenomeno della denatalità colpisce l’intero territorio nazionale, seppur con intensità differenti: le contrazioni più accentuate si registrano nel Mezzogiorno e nelle Isole, dove le nascite sono diminuite rispettivamente del 4,2% e del 4,9%.
In questo contesto, è sempre più evidente che le politiche per sostenere la natalità non possono essere disgiunte da quelle per la parità di genere. Le scelte riproduttive delle coppie, e in particolare delle donne, sono fortemente influenzate da fattori economici, dalla possibilità di conciliare lavoro e cura, e dalle prospettive professionali dopo la maternità.
I dati del 2024 sul tasso di occupazione nella fascia 25–54 anni rivelano un marcato divario di genere legato alla presenza di figli. Per gli uomini, la genitorialità si associa a una maggiore partecipazione lavorativa: il 77,8% di uomini senza figli è occupato, percentuale che sale al 91,5% tra i padri, e al 91,9% per chi ha almeno un figlio minore. Il tasso di occupazione medio complessivo maschile è dell’84,1%.
Per le donne, invece, lo scenario è opposto: il tasso di occupazione è del 68,9% tra le donne senza figli, ma scende al 62,3% tra le madri, arrivando al 60,1% tra chi ha due o più figli minori. Il dato medio complessivo femminile si ferma al 64,9%, con un divario di quasi 20 punti percentuali rispetto agli uomini.
Questa disuguaglianza si accentua nella fascia 35–44 anni, ovvero nel momento in cui si concentrano più frequentemente la genitorialità, le responsabilità di cura e la piena fase di sviluppo professionale. A parità di numero di figli, il gap occupazionale è evidente: nel Nord Italia, il 96,5% degli uomini con due o più figli minori è occupato, contro appena il 71,2% delle donne. Al Centro, il divario è simile (95% contro 67,1%), mentre nel Mezzogiorno raggiunge proporzioni critiche (84,2% contro 42,6%).
Il fenomeno della child penality e le sue conseguenze
La nascita di un figlio ha un impatto profondamente asimmetrico sulle traiettorie lavorative: per i padri, la situazione professionale resta sostanzialmente invariata, mentre per le madri rappresenta un momento critico, spesso accompagnato da una riduzione significativa dell’occupazione e del reddito. Questo fenomeno è noto come child penalty ed è ampiamente documentato a livello internazionale. Secondo uno studio del National Bureau of Economic Research, nei Paesi avanzati uomini e donne seguono percorsi professionali simili fino alla nascita del primo figlio, per poi divergere in modo netto e persistente.
In Italia, la child penalty assume proporzioni particolarmente rilevanti. Il XXIII Rapporto Annuale dell’INPS evidenzia che la nascita di un figlio comporta per le madri una riduzione del reddito pari in media al 16%. In assenza delle indennità legate al congedo di maternità e parentale, il dato salirebbe a oltre il 70%.
Il gender pay gap si amplia in modo marcato dopo la maternità: da quasi nullo, si allarga fino a raggiungere il 30% e rimane stabile per diversi anni. Il recupero del reddito per le madri è lento e parziale: servono in media quattro anni per tornare ai livelli pre-maternità, mentre il divario con i padri continua ad allargarsi, diventando strutturalmente difficile da colmare.
Un altro aspetto critico riguarda la continuità lavorativa: le madri nel settore privato registrano una probabilità di abbandono del lavoro che cresce fino al 18% dopo la nascita di un figlio. Per i padri, al contrario, la genitorialità non comporta modifiche significative nella partecipazione al mercato del lavoro.

Vediamo ora, rispetto alla genitorialità e gender gap appena evidenziato in Italia, qual è il ruolo della certificazione di parità di genere
Genitorialità e gender gap: Certificazione Parità di Genere (UNI/PdR 125:2022) e misure per la genitorialità
Nel tentativo di colmare questi divari, la certificazione UNI/PdR 125:2022, attuata in base alla Legge 162/2021, propone un insieme di strumenti e indicatori per promuovere l’uguaglianza di genere anche nell’ambito della genitorialità. Le organizzazioni che intraprendono questo percorso sono chiamate a adottare misure concrete, tra cui:
Smart working e telelavoro
Flessibilità oraria in ingresso e uscita
Banca ore solidale
Permessi speciali per care-giver o per necessità specifiche legate alla genitorialità (es. permesso per primo giorno di scuola del figlio/a, permessi aggiuntivi per motivi sanitari e di cura)
Estensione dei congedi di paternità e parentali oltre quanto previsto dalla legge
Convenzioni con asili nido, campi scuola o servizi di baby-sitting
Per valutare l’efficacia delle azioni intraprese, la Prassi di Riferimento prevede specifici Key Performance Indicator (KPI), utili a monitorare l’impatto delle politiche aziendali proprio su questi temi.

La Prassi ha formulato anche due ulteriori indicatori chiedendo alle aziende di monitorare i dati di fruizione dei congedi di paternità e dei congedi parentali da parte degli uomini, valutando positivamente le aziende i cui padri presenti fruiscano interamente dei giorni previsti dalla legge.
Si raccomanda inoltre di includere una sezione dedicata alla genitorialità all’interno del Piano Strategico Triennale, uno strumento chiave nel percorso verso la certificazione UNI/PdR 125:2022. Tale piano consente all’organizzazione di definire con chiarezza le azioni e gli obiettivi da perseguire per promuovere la parità di genere. Risulta fondamentale per pianificare interventi strutturati e duraturi nelle sei aree prioritarie individuate dalla norma: selezione e assunzione, sviluppo di carriera, equità retributiva, genitorialità e cura, equilibrio vita-lavoro, prevenzione di abusi e molestie.

Per quanto riguarda la genitorialità, la stessa Prassi individua le aree su cui è necessario intraprendere interventi strutturati e suggerisce obiettivi quali:
Programmi di reinserimento post-congedo;
Iniziative di formazione e supporto al rientro;
Comunicazione interna per incentivare i congedi di paternità;
Estensione della durata del congedo di paternità;
Integrazione da parte dell’azienda alla retribuzione prevista dalla legge durante la fruizione del congedo parentale;
Servizi di welfare per la genitorialità e il caregiving;
Infrastrutture e servizi di supporto (asili nido, doposcuola, voucher per attività extrascolastiche, ecc.)
Buone pratiche aziendali e cambiamento culturale
Alcune aziende hanno già attivato politiche virtuose, valorizzando la genitorialità come leva strategica per la coesione e l’equità. In un caso, per esempio, è stato avviato un progetto rivolto ai padri, che ha trasformato il loro ruolo nella cura in un’esperienza partecipativa, riflessiva e collettiva, articolata in sfide quotidiane, dalla gestione domestica al gioco con i figli, fino alla condivisione di emozioni e storie personali. Le sfide prevedevano inoltre il coinvolgimento di colleghe e colleghi, rafforzando il clima di inclusione e supporto reciproco.
In un’altra realtà, la nascita o l’adozione di un bambino o di una bambina viene accolta con un pacchetto di misure concrete: un credito welfare personalizzato, una box regalo con prodotti per la cura e un gesto simbolico – la piantumazione di un albero – per sottolineare il valore della cura e della comunità.
Queste iniziative dimostrano che investire nella genitorialità non è solo una scelta etica, ma una strategia aziendale efficace per generare benessere, fidelizzazione e una cultura del lavoro più giusta e sostenibile.
La diffusione di buone pratiche è fondamentale per ispirare altre organizzazioni e contribuire a un cambiamento sistemico. Per questo, IDEM | Mind the Gap, in collaborazione con Promama, ha promosso la sessione tematica “Lavoro e Genitorialità: un nuovo modello per le aziende”, in cui sono state presentate esperienze concrete e si è aperto un confronto sul ruolo delle imprese nella costruzione di un equilibrio più equo tra vita privata e professionale.
Chi desidera approfondire può rivedere l’incontro sulla pagina dedicata al ciclo di incontri IDEM Session.
